Citofonare a Putin la domenica mattina

Da un sondaggio del Centro Ricerche sull’Opinione Pubblica Russa condotto su un campione di 1200 soggetti, risulta che il 76% dei russi condivide il divieto di proselitismo imposto ai Testimoni di Geova, considerati dalla Corte Suprema “organizzazione estremistica” e banditi da tutto il territorio russo a partire dall’aprile di quest’anno.

Si tratta di una delle conseguenze dell’approvazione della cosiddetta “Legge Jarovaja”, un insieme di misure atte a combattere il fondamentalismo religioso. I “Testimoni” sono accusati sia di aver rifiutato l’accordo “giuseppinista” con lo Stato russo (in conseguenza del quale non sono più autorizzati a utilizzare l’etichetta di “cristiani”) sia di aver plagiato i propri adepti con paranoie apocalittiche e anti-scientifiche (come il famigerato rifiuto delle trasfusioni di sangue).

Sembra incredibile, ma nonostante le proteste della Mogherini, Mosca già che c’era ha deciso pure di incamerarsi tutte le proprietà della setta. Evidentemente citofonare a Putin la domenica mattina non è stata una grande idea…

Battute a parte, come già osservai a suo tempo, la “Jarovaja” non ha come scopo principale quello di perseguitare certe minuscole sette: infatti ha poco a che fare con tutta questa vicenda, dato che la controversia tra il Cremlino e le minoranze religiose dura da anni. Tuttavia c’è chi è interessato a presentarla secondo tale schema, così da persuadere l’opinione pubblica italiana che Putin sia “nemico dei cristiani”: ma il pacchetto di provvedimenti che prende il nome da una deputata di Russia Unita è stato adottato semplicemente in conformità alle leggi “islamofobe” istituite in alcuni Paesi europei (e non solo: vedi Egitto e Tunisia), dopo l’ondata terroristica che ha travolto il Vecchio Continente.

Solo da questo punto di vista si potrebbe criticare la “Jarovaja”: l’eccessiva “emotività” che la ispira rischia di produrre effetti collaterali non voluti. Sfortunatamente gli anti-Putin (dagli editorialisti del “Corriere” alla destra cattolica) non possono dire molto sul tema senza cadere in contraddizione, poiché tale legge introduce misure che loro stessi invocano da anni. Non sono infatti costoro che hanno sempre chiuso un occhio sull’ipocrisia dei divieti burocratico-urbanistici alla costruzione di moschee?

Eppure che sia necessario fare chiarezza sui finanziamenti di cui dispongono alcune associazioni islamiche è un principio che oggi viene riconosciuto praticamente da tutti. La “Jarovaja”, per dirla in burocratese, sopperisce a tale vulnus, che in Russia è più sentito da altre parti per motivi realmente “geopolitici” (se non “geografici” tout court): nella Federazione covano infatti pulsioni secessionistiche a ridosso delle falde etnico-religiose che la caratterizzano. Di conseguenza, finché i sufi del Daghestan pregano e cantano, nulla di male; quando invece coi soldi di qualche petrolmonarchia cominciano a farsi saltare in aria, Mosca deve necessariamente intervenire (e non è che può fare l’embargo: tra le montagne serve la fanteria…).

Perciò è corretto riconoscere che la legge anti-terrorismo si rivolge anche contro le organizzazioni che, non avendo ottenuto il riconoscimento dello Stato, abusano dell’etichetta di “islamiche”. Il fatto che risultino coinvolte anche quelle “cristiane” è, come detto, secondario: del resto nemmeno in Italia certi gruppi religiosi possono accedere all’elenco dei beneficiari dell’Otto per mille, il che dimostra che la questione non riguarda semplicemente la libertà religiosa. Perché, in effetti, il problema non è soltanto politico, ma teologico-politico: il principio che la Russia sta cercando di ristabilire va al di là di uno schematico Cuius regio eius religio e investe la totalità dei rapporti tra Stato e religione, i quali vanno nuovamente ripensati, anche alla luce del revival verificatosi dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Non sembra quindi casuale che uno dei centri da cui deve partire tale ripensamento sia proprio il Paese che, dopo aver proclamato l’ateismo di Stato, scelse come canto bellico un inno dal titolo La guerra santa

La questione fondamentale è se possano essere posti ancora dei limiti all’influenza della religione nella sfera pubblica, poiché, al di là del laicismo di facciata, il tema sembra diventato un tabù. Non solo per una questione di correttezza politica, che in nome della “tolleranza” impedisce una condanna netta degli estremismi indùbuddisti ed ebraici; ma anche per il singolare fenomeno della “demonizzazione selettiva” della repressione del sacro, che porta a riconoscerla come positiva quando essa è orientata in senso “progressista”, mentre a stigmatizzarla quando origina da “destra”. Tale atteggiamento comporta una sorta di “radicalizzazione inconscia” che è potenzialmente in grado di trasformare qualsiasi sentimento religioso in una minaccia non tanto allo Stato o alle comunità, quanto al re-ligare stesso.

Un altro elemento importante del “nuovo corso” inaugurato dalla Jarovaja, che finora non è stato rilevato dai critici, è la rivalutazione positiva di quell’agnosticismo che in Russia si è fatto tradizione e cultura (anche nelle forme estreme dell’ateismo di Stato). Questa nuova sensibilità permette di ridurre lo spazio della religione nella sfera pubblica, anche nei confronti dell’ortodossia: i primi effetti indiretti si manifestano nei numerosi appelli contro la costruzione di nuove chiese in nome del turismo o dell’urbanistica (per esempio, i residenti di un quartiere di San Pietroburgo con una lettera a Putin si sono opposti all’erezione di un sacrario in ricordo delle vittime dell’incidente aereo nel Sinai perché sarebbe in contrasto con lo stile “europeo” della zona e potrebbe causare problemi di traffico – per non dire del suono delle campane che disturberebbe la quiete…).

Chiudiamo però ora con queste amenità e dedichiamoci invece agli argomenti principali da cui era partito il dibattito: i citofoni e i Testimoni di Geova. Per la gravità e l’importanza dei temi trattati, ho deciso di affrontarli separatamente.

Partiamo dai citofoni. Negli Stati Uniti di recente si è discusso della fobia che i cosiddetti millennial (un gruppo del quale tecnicamente dovrebbe far parte anche il sottoscritto) hanno sviluppato nei confronti del campanello di casa: è un suono che, come scrive il “Wall Street Journal”, considerano “terrificante”, “minaccioso”, “sospetto”, e che li fa letteralmente uscire di testa («The sound of a ringing doorbell freaks them out»).

Queste storie da fine della storia mi intrigano: il citofono come l’olocausto, l’infibulazione e le esecuzioni sommarie? Negli Stati Uniti ormai viene identificata una nuova “fobia” al giorno: nell’ultimo anno è andata molto la fatphobia, la quale “colpisce” in primis quei medici che consigliano alle proprie pazienti di perdere peso.

Però la “grassofobia” è già roba vecchia, nel 2017 siamo passati di livello: adesso c’è la pozphobia (o serophobia), cioè il rifiuto di fare sesso con una persona perché sieropositiva. In tal senso è stata appena modificata la legislazione della California, che ha depenalizzato il reato di mettere a rischio la salute altrui nascondendo la propria malattia (purtroppo la “riforma” vale anche per chi dona il sangue pur sapendo di avere l’Hiv).

Sono cronache di un lento logoramento al quale si può assistere senza lasciarsi turbare più di tanto; anzi, la cosa migliore sarebbe godersi lo “spettacolo”, il cui palinsesto varia di mese in mese e nell’ultima settimana ha offerto una rissa tra femministe e trans a Londra (giusto il commento: «Even Monty Python couldn’t make it up») e la lapidazione virtuale di una signora per aver chiesto su Facebook qualche ricetta da preparare al marito (“crimine contro il femminismo”).

E veniamo finalmente ai Testimoni di Geova. Nella mia cittadina c’è uno dei loro centri (credo la chiamino “Sala”), dunque li incontro praticamente tutti i giorni: in generale non ho nulla contro di loro (anche se non ho mai capito cosa vogliono vendermi, ché il credere è appunto un credito). Dirò di più: verso la fine degli anni ’00 la loro predicazione era diventata piuttosto accattivante, perché per “agganciare” i maschi ingenui si aggiravano con qualche adepta dal gradevole aspetto. Voglio dire: voi mi offrite una vestale con la carrozzeria tutta a posto, che deve obbedire ai miei ordini, che non può lasciarmi o tradirmi sennò finisce all’inferno e il cui ideale supremo di svago è una preghiera in compagnia? Manco l’islam promette roba del genere (anzi, meno si fa settario e più le maglie si allargano): al diavolo l’illuminismo, chi non ci metterebbe la firma?

A questo proposito, un aneddoto: una volta mi imbattei in una signora sulla sessantina assieme a una di queste fanciulle durante un acquazzone, e mentre mi parlavano –tanto per cambiare– dell’Apocalisse, io decisi di sfoderare un classico del mio umorismo gesuitico e tardo: “Beh, per adesso c’è solo il diluvio universale!”. Roba che anche un prete mi avrebbe preso a ceffoni: invece la ragazzetta rise! Si tratta di un’avvisaglia che ho imparato a riconoscere con l’esperienza: quando le donne ridono a una tua battuta (non importa se sia divertente o meno), è perché vogliono la tua anima. Vade retro! Non abbiamo di certo estirpato l’arianesimo da queste terre per poi farci irretire da un bel faccino…

Comunque, erano altri tempi: oggi nei crocchi di “fratelli” c’è meno figa che alle riunioni per lo scisma Lefevbre. L’ultima volta che li ho incontrati (sarà stato settimana scorsa), ho assistito addirittura a un sorprendente cambio di tattica: basta figa, basta apocalisse, solo “A trent’anni vivi ancora coi genitori, stacca quel cordone ombelicale e vieni con noi”. Ah ah ah! Adesso anche loro si sono convertiti all’anti-bamboccionismo? Ma ’sti cazzi! Se pure i Testimoni di Geova si mettono a cantare la canzoncina del “darsi da fare”, dell’“affitta una barca e lavora gratis”, del “vai a Londra in Cina e lava i piatti apri una cliclofficina”, o –più adatti in questo caso– “sviluppa una app per calcolare la fine del mondo” e “apri una start-up di citofoni portatili”, allora siamo a posto!

La “bamboccionofobia” è in effetti una delle poche “fobie” autorizzate di questi tempi (perché puoi essere pedofilo drogato omicida obeso antropofago terrorista, ma se non riesci a trovare un lavoro con cui mantenerti sei una merda e devi essere esposto al pubblico ludibrio). Tuttavia che questa retorica ora campeggi pure sulle labbra dei fondamentalisti religiosi è forse buon segno: lì per lì, trovandomi al cospetto di una persona che mi chiedeva di entrare in una setta per “darmi da fare”, ammetto di essermi sentito come il Rockefeller di quella leggenda metropolitana, quando dopo aver saputo che il suo lustrascarpe investiva in Borsa vendette tutti i titoli che possedeva perché aveva intuito l’inizio della fine (la crisi del 1929).

Chissà che un giorno a suonare ai citofoni la domenica mattina non rimarranno che i bocconiani (altra pericolosa setta estremista). A tutto il resto poi ci penserà Putin (o chi per esso).

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