Eroi maltusiani

I colossali progetti per il controllo demografico mondiale, sviluppati negli ultimi decenni dalle varie “agenzie” internazionali (e sostenuti da pubblicisti infervorati), si reggono essenzialmente sue due piedi d’argilla, l’uno riguardante i presupposti e l’altro i fini.

Partiamo dall’aporia che condiziona il pensiero ecologista nelle sue conformazioni più disparate: è l’Homo sapiens una specie tra le altre, oppure è «un fenomeno deviante rispetto al maestoso fluire dell’evoluzione» (per citare il noto Aurelio Peccei)? Rispondere a tale quesito permetterebbe di avere una visione più chiara dei principi che hanno ispirato importanti trasformazioni in campo sociale, culturale e persino legislativo. Infatti, se l’essere umano è un animale come gli altri, allora tutto ciò che fa non può essere considerato in alcun modo “innaturale”, nemmeno quando crea disequilibri nell’ambiente circostante; se invece è considerato una specie “aliena”, allora non si comprende per quali motivi dovrebbe compromettere la propria sopravvivenza in favore della salvaguardia di un habitat al quale non appartiene.

Finora una discussione limpida sul tema è stata sempre ostacolata dalla necessità di imporre un nuovo concetto di “umanità” con pretesti evanescenti come quello della salvaguardia dell’ambiente (che spesso viene confuso con le forme più basse di eudemonismo). Sarebbe necessario invece approfondire il “problema uomo” in una forma che vada oltre la classica petitio principii: per fare un esempio celeberrimo, nel volume del sunnominato Aurelio Peccei Cento pagine per l’avvenire è delineata un’antropologia angusta e deprimente che troverebbe però il suo riscatto nell’idea di “uomo nuovo”, la trasformazione del “fenomeno deviante” (l’Homo sapiens) in una creatura in grado di vivere in completa simbiosi con la natura che lo circonda. È una classica dimostrazione di come chi si occupa di fare proposte rivoluzionarie sul futuro dell’umanità dimentichi poi di specificare i fini: in questo  caso lo stile roboante e inutilmente provocatorio dell’autore non riesce a occultare interamente la misera pregiudiziale metafisica nascosta nei suoi proclami. In fondo, l’anelito alla restaurazione del kosmos, dell’intero, della perfezione, della staticità, dell’equilibrio ecc… non è che un pallido adattamento della più nobile Apokatastasis panton. Da qui si deduce che, nel migliore dei casi, le posizioni ecologistiche servono più che altro a dissimulare una pseudo-gnosi talmente confusa e sfuggente da non poter neppure essere dichiarata.

Questo sarebbe il secondo punto debole a cui accennavamo all’inizio: quale parte dell’umanità meriterebbe di essere salvata e quale sacrificata secondo i sostenitori della palingenesi demografica?

Periodicamente si assiste al rilancio di proposte di riduzione dei terrestri al di sotto del miliardo di unità, da parte di individui che, a quanto pare, credono di provenire da un altro pianeta. Chi decide, in effetti, quali sono gli umani autorizzati a riprodursi e quali invece devono sottoporsi a una sterilizzazione (volontaria o meno)? Su questo punto fondamentale la confusione è più grande che mai (e forse anche auspicata). Mi sembra che la retorica melensa e ipocrita dei vari “benefattori” non riesca a celare la misantropia che li ispira. Nel volume di Riccardo Cascioli, Il complotto demografico (Piemme, 1996), ancora oggi un valido resoconto della visione cattolica sul tema (sempre che le cose non siano cambiate negli ultimi vent’anni…), sono raccolte diverse testimonianze di questa insofferenza nei confronti del prossimo mascherata da pseudo-scienza, ma spesso espressa attraverso «un linguaggio apocalittico-catastrofico» (p. 52). A colpirmi non è tanto il famigerato NSSM200, il memorandum di Kissinger che sembra ispirato alla Modest proposal di Swift, un’apoteosi di cinismo yankee sulla quale stendere un velo pietoso (Your cynicism is simply a pose, scriveva Wilde), ma per esempio le sentenze apodittiche con cui Paul Ehrlich predice il destino del popolo americano: «Negli anni Settanta centinaia di milioni di persone moriranno di fame. Un collasso della civiltà sarà seguito da carestie catastrofiche, pestilenze e probabilmente una guerra termonucleare. Tra il 1980 e il 1989 una terribile carestia sterminerà 65 milioni di americani» (The Population Bomb, Ballatine, New York, 1968, p. xi). Per inciso, Ehrlich ha indirettamente partecipato all’“evo” obamiano attraverso il consulente della Casa Bianca per la scienza e la tecnologia John Holdren, che firmò con lo stesso Ehrlich (e la moglie Anne) diversi volumi, tra cui il saggi del 1977 Ecoscience, nel quale si suggeriscono provvedimenti drastici contro il pericolo della sovrappopolazione: aborti forzati, sterilizzazioni di massa, contaminazione delle riserve acquifere con farmaci anti-fertilità, arresto per chi fa più di un figlio, creazione di un governo mondiale.

Il wishful thinking di Ehrlich (poiché di questo si tratta, avendo l’autore spostato la sua “previsione” di dieci anni nelle successive ristampe…) assomiglia molto a quello che avrebbe ispirato Charles Manson nella strage di Bel Air: per certi versi, l’Helter Skelter immaginato dalla Manson Family (la “grande guerra” attraverso la quale i neri avrebbero massacrato i bianchi e poi sarebbero stati schiavizzati dalla “Famiglia” stessa), fa di Manson una sorta di “eroe malthusiano”. La definizione (héros malthusien), coniata dallo scrittore Richard Millet per il suo strampalato Eloge littéraire d’Anders Breivik, si adatta particolarmente a quelli che si sono auto-incaricati della missione di sfoltire l’umanità in virtù di disegni oligarchici ed elitari. Questa cultura violenta non sembra essere affatto estranea a chi si professa ambientalista: qualche giorno dopo la strage di Oslo del 2011, il celebre cantante Morrissey, vegetariano e animalista radicale, dichiarò che la morte di 77 persone non era niente in confronto a quello che accade nei fast-food ogni giorno. Una polemica analoga si verificò quando l’altrettanto celebre Peter Singer (celebre non come cantante, ma come filosofo), rifiutò di considerare l’abbattimento di 38 milioni di polli avvenuto nei mattatoi americani l’11 settembre 2001 tanto grave quanto l’attentato al World Trade Center, ottenendo così l’epiteto di “specista”.

Il nocciolo della questione è che una parte dell’umanità decide di assumersi l’obbligo di cancellare l’altra, in base al principio che essa sia autorizzata a farlo avendo la “consapevolezza” (uno dei tanti termini con cui può essere tradotto gnosis) che questo è ciò che va fatto. Da tale ragionamento tautologico deriva la perenne autoesclusione dei “demofobi” dal numero dei sacrificabili per la salvezza del pianeta. Il guaio per costoro è che anche chi si considera membro di un élite resta pur sempre un animale sociale (che però crede di essere più uguale degli altri). Per assurdo, quindi, pure una schiera di eletti ha bisogno della collaborazione del prossimo, poiché su questa terra non si è mai data un’aristocrazia senza plebe. Un esempio eloquente del paradosso è il romanzo Dissipatio H.G. di Guido Morselli, nel quale un misantropo (o, per dirla con lo scrittore, “fobantropo”), si ritrova in un mondo dove tutta l’umanità si è come volatilizzata e si accorge che non può esiste un Roi du monde senza sudditi. È un’eventualità che maltusiani e denatalisti dovrebbero tenere in conto, anche perché, volendo citare ancora il Poeta, There are only two tragedies in life: one is not getting what one wants, and the other is getting it.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.