Mi avete rotto il calcio (Mondiali 2018)

I Mondiali russi? Divertenti, niente da dire. In Italia li abbiamo potuti vedere grazie a Mediaset, che ha dato il massimo consentito a una rete commerciale (vergognosa invece la diserzione della tv pubblica). Purtroppo fuori dai campi si è parlato poco di calcio, e ancor meno della Russia: le manovre per trasformarlo in una kermesse globalista e anti-populista hanno finito per coprire ulteriormente di ridicolo i mass media. La strumentalizzazione politica ovviamente è stata come al solito a senso unico: da una parte, elogi sperticati alla Francia e ai suoi “figli della banlieue”, tra i quali ha brillato l’enfant prodige Mbappé (ma bastava dare un’occhiata alla pagina di Wikipedia per scoprire la jeunesse dorée del campioncino algerino-camerunense); dall’altra una russofobia rozza, razzista e bigotta, che ci ha dimostrato come anni di propaganda abbiano completamente “inselvatichito” i professionisti dell’informazione.

Chiaramente nessuno si è sognato di portare la finalista Croazia come esempio di “omogeneità etnica” e nazionalismo, né rivalutare il modello politico di Putin da una prospettiva securitaria: le cazzate sono state consentite solo “dall’altra parte”. Col senno di poi, è stato tutto sommato un bene che l’Italia non abbia partecipato a questa edizione: sono sempre stato contrario alla riduzione del calcio ad “arma di distrazione di massa”, tuttavia col senno di poi bisogna ammettere che in un mese di Mondiali il nostro Paese è riuscito a ribaltare decenni di masochismo e auto-distruzione. Finalmente gli italiani hanno capovolto il rapporto tra un’esaltazione folle per la Nazionale e un astio altrettanto demenziale per la Nazione.

I cugini d’oltralpe purtroppo non hanno avuto la stessa fortuna: non parlo solo dei poveri cittadini di Nantes che hanno dovuto seguire l’intera manifestazione in mezzo ai soliti torbidi causati dai “figli della banlieue” (prontamente censurati da tv e stampa), ma del francese medio che dovrà rassegnarsi ad altri vent’anni di Black-Blanc-Beur contro una situazione sociale ormai a un passo dalla guerra civile. In fondo, come dicevamo, se avesse vinto la Croazia nessuno si sarebbe azzardato a politicizzare alcunché: “è solo calcio, cosa c’entra che sono tutti ustascia e non vogliono immigrati?”. E sarebbe stata una cosa positiva, rispetto all’alternativa di un dibattito congelato per altri due decenni perché qualcuno ha buttato due palloni in rete.

D’altronde, se volessimo davvero buttarla in politica, potremmo persino leggere questo Mondiale come il più nazionalistico di tutti. In primo luogo perché Putin, il “nuovo Hitler” (così Boris Johnson, che però chissà perché non imposto il boicottaggio di queste nuove “Olimpiadi del 1936”), ha messo in piedi un’organizzazione straordinaria e invidiabile, che le nazioni occidentali ormai non possono più permettersi: basta vedere Parigi messa a ferro e fuoco proprio in queste ore per i “festeggiamenti”.

(Contro tuttavia tale dato di fatto, un fenomeno preoccupante è stata la latitanza dei tifosi europei: il rapporto con quelli sudamericani a ogni partita è stato costantemente di 1 a 10. Se la squallida russofobia propinata alle opinioni pubbliche del Vecchio Continente avesse davvero attecchito, dovremmo tristemente cominciare a distribuire “Premi Goebbels” a destra e a manca).

In secondo luogo perché, rispetto all’ultimo Mondiale, il più “multietnico” di tutti a livello europeo [*], questo invece è stato il “Mondiale degli oriundi“: decine di calciatori africani per la prima volta hanno rifiutato un “posto in prima fila” per riscoprire le proprie radici. Non accenniamo nemmeno a tutte le manifestazioni dello sciovinismo più accesso, dalle aquile mimate con le mani per esaltare l’irredentismo filo-albanese degli “svizzeri” Xhaka e Shaqiri contro la Serbia ai cori del difensore croato Vida in favore della “gloriosa Ucraina” (non quella sognata dalla povera Anna Applebaum, che naturalmente plaude solo alla russofobia de sinistra).

Infine, per concludere in cauda venenum, vogliamo ricordare a tutte le scartine progressiste che pensano di ravvivare le loro utopie da falliti fingendosi “amici del popolo”, che il calcio (come in generale lo sport) è stato sempre considerato dalla loro area di riferimento come una “cosa di destra”. A tal proposito mi piace citare qualche osservazione dal “classico” Sport e repressione (tr. it. Samonà & Savelli, Roma, 1971) del sociologo Pierre Laguillaumie:

«Perfettamente integrato nel sistema economico capitalistico, lo sport da una pare subisce lo sfruttamento sistematico e forsennato dei gruppi finanziari, dall’altra produce e sviluppa la propria industria. È un luogo comune ricordare l’utilizzazione dello sport da parte del mondo dell’industria. La fauna pubblicitaria che gli gravita intorno ha trasformato gli stadi in veri e propri campi per fiere internazionali e gli atleti in uomini-sandwichs che decantano i meriti di questa cicoria o quel liquore, legati da una serie di contratti ad imperativi da indossatrici.
[…] Radio, televisione, trust di giornali di informazione sportiva trasformano i campioni in eroi del nostro tempo e si danno da fare per trasformare il mondo dello sport in un mondo di affari. Ancora più significativo è il fatto che lo sport sia riuscito a sviluppare una propria industria. Ci basterebbe enumerare tutti i settori interessati per accorgerci che lo sport è totalmente integrato nel sistema che impone la corsa al profitto. Attualmente le numerose vittorie ottenute dagli sciatori francesi hanno permesso al monopolio francese di conquistare il mercato mondiale degli sci.

[…] La corsa al profitto non indietreggia davanti a nulla. Lo sport è un eccellente mezzo di propaganda, di prestigio e di redditività che il gollismo cerca di favorire in nodo sistematico nel quadro di una politica del tempo libero organizzato dai “fabbricanti di vacanze”. Lo sport è interamente al servizio dei finanziatori del gollismo. Lo sport mondiale rientra nella strategia economica del capitalismo mondiale. Tale integrazione s’è d’altronde realizzata senza la minima scossa, dal momento che lo sport contiene in sé tutti i germi e riflette tutte le forme della società capitalistica.
[…] Infatti il sistema capitalistico basato sull’appropriazione dei mezzi di produzione non è altro che un’immensa competizione mondiale, una concorrenza sociale generalizzata. La legge della giungla capitalistica insegna ad ognuno che il suo vicino è un rivale che bisogna vincere e abbattere con tutti i mezzi. Il motore di questo processo è la ricerca sistematica del rendimento, che deve essere precisamente misurato e continuamente migliorato allo scopo di appropriarsi di nuovi mercati. Da questo punto di vista, lo sport si presenta come il modello più perfetto della competizione umana impegnata in tutto il globo e in tutti i settori. La legge della concorrenza si ritrova integralmente nell’organizzazione dei concorsi e dei campionati sportivi. A tutti i livelli, essa genera necessariamente la ricerca del massimo rendimento, che può essere adeguatamente espresso solo nella quantificazione precisa del lavoro svolto. Tale quantificazione esiga una misura rigorosa, precisa, controllata internazionalmente affinché si stabilisca un quadro di riferimento mondiale che unifica la pratica a tutti i livelli: il record. Lo schema Competizione-Rendimento-Misura-Record riflette perfettamente il processo di produzione capitalistico. D’altronde la messa in opera di una forza produttiva sportiva non ha trovato la sua forma attuale che al momento della rivoluzione industriale. La comparsa della macchina a vapore e il passaggio dal capitalismo mercantile al capitalismo industriale hanno profondamente e progressivamente modificato i rapporti tra l’uomo e la macchina e tra gli stessi uomini. Il campione è fabbricato a immagine dell’operaio, lo stadio a immagine dell’officina, l’attività sportiva è diventata una produzione che assume tutte le caratteristiche di quella industriale».

Anche se costoro fingono di tifare per la Francia “multietnica e vincente” o per il Belgio “simpatico e accogliente”, sotto sotto sappiamo che ribollono di rabbia per doversi appassionare a tale manifestazione di machismo, gollismo, capitalismo, patriarcato e sfruttamento: quindi fate il piacere di tornare a interessarvi di bob giamaicano o golf femminile, perché avete rotto il calcio.

[*] Qui di seguito l’elenco dei giocatori stranieri naturalizzati presenti in sei nazionali europee che hanno partecipato ai Mondiali del 2014 (fonte: Wikipedia).

Nel bene o nel male, l’argomento è tabù: già il fatto di aver compilato delle liste del genere mi rende sospetto di razzismo – e anche se l’avessi fatto per elogiare l’immigrazione di massa, il multiculturalismo o altre cose che piacciono ai giornalisti, resterebbe nell’aria la sensazione di una intolleranza dissimulata.

Il “politicamente corretto” impone, semplicemente, la censura: dunque se una squadra è composta per il 70-80% di atleti nati in altri paesi o provenienti dalle ex-colonie, la cosa deve per forza essere considerata normale. Invece non lo è affatto, per diversi motivi: prima di tutto perché una squadra nazionale deve rappresentare la nazione, perché il calcio è una cosa seria e non un semplice passatempo per appassionati. Intendo dire che se la nazionale svizzera di volley da spiaggia fosse composta da due albanesi o se il campione di freccette francese fosse kazako, il fatto non impensierirebbe nessuno.. Con il calcio, invece, è tutto diverso: non può esistere una sproporzione così ampia tra il numero degli stranieri in un Paese (per la Francia parliamo di un 10-15% della popolazione) e quello in nazionale (75%).

In secondo luogo: che senso ha avuto il processo di decolonizzazione se poi nuove nazioni quali il Suriname, la Giamaica o vari stati africani devono sempre “regalare” i propri campioni? Non è una questione secondaria, visto che il calcio è uno dei più grandi business a livello planetario e solo raggiungere le qualificazioni al mondiale comporta introiti altissimi per nazioni in via di sviluppo.

Fuori dalle polemiche, si potrebbe anche fare un ragionamento sui motivi per cui alcune etnie sembrano possedere un talento naturale per il calcio. Al di là dei giocatori provenienti dalle ex-colonie, si nota a livello generale una prevalenza nelle naturalizzazioni di atleti di origine italiana, balcanica e sudamericana (l’esempio più ovvio è quello dell’Australia). È per la struttura fisica, per l’influenza culturale o che altro? Purtroppo non lo sapremo mai, sempre per i motivi di cui sopra.

Tornando alla questione principale, una soluzione al problema della discrepanza tra nazione e nazionale potrebbe essere quella di creare un altro torneo mondiale su modello della Champions League, dove parteciperebbero dei “club nazionali” autorizzati a reclutare qualsiasi atleta da ogni parte del mondo, contemporaneamente a una restrizione della quota di naturalizzazioni possibili per quanto riguarda la “vera” nazionale, quella che poi parteciperebbe ogni quattro anni alla Coppa del Mondo. Può sembrare un’idea assurda, ma prima o poi la FIFA sarà costretta a prendere provvedimenti di questo tipo, per non correre il rischio di trasformare un bello spettacolo in farsa.

BELGIO

  1. Vincent Kompany (Uccle, 1986): padre congolese.
  2. Axel Witsel (Liegi, 1989): padre della Martinica.
  3. Marouane Fellaini (Etterbeek, 1987): nato in Belgio da genitori marocchini.
  4. Romelu Lukaku (Anversa, 1993): genitori congolesi.
  5. Kevin Mirallas (Liegi, 1987): padre spagnolo.
  6. Divock Origi (Ostenda, 18 aprile 1995): origini keniote.
  7. Mousa Dembélé (Wilrijk, 1987): padre del Mali e madre belga.
  8. Adnan Januzaj (Bruxelles, 1995): nato in Belgio da genitori kosovaro-albanesi.
  9. Anthony Vanden Borre (Likasi, 1987): nato in Congo da padre belga e madre congolese.
  10. Nacer Chadli (Liegi, 1989): origini marocchine.

FRANCIA

  1. Hugo Lloris (Nizza, 26 dicembre 1986): padre di origine catalana.
  2. Patrice Evra (Dakar, 1981): figlio di un diplomatico senegalese e di madre capoverdiana, all’età di tre anni si trasferisce con la famiglia a sud di Parigi. Durante il Mondiale 2010 è stato insultato dai tifosi senegalesi che non hanno accettato la sua naturalizzazione.
  3. Raphaël Varane (Lilla, 1993): genitori di origine martinicana.
  4. Mamadou Sakho (Parigi, 1990): genitori senegalesi.
  5. Yohan Cabaye (Tourcoing, 1986): origine vietnamita. Il fratello più giovane, Geoffrey, ha deciso di giocare con la nazionale del Vietnam.
  6. Rémy Cabella (Ajaccio, 1990): madre corsa e padre italiano.
  7. Mathieu Valbuena (Bruges, 1984): padre di origine spagnola.
  8. Karim Benzema (Lione, 1987): padre cabilo e madre algerina.
  9. Rio Mavuba (Angola, 1984): padre del Congo e madre dell’Angola, è nato su un battello e diretto in Francia, mentre la famiglia fuggiva dalla guerra civile angolana. Ha acquisito la nazionalità francese nel 2004.
  10. Eliaquim Mangala (Parigi, 1991): genitori congolesi.
  11. Blaise Matuidi (Tolosa, 1987): padre angolano e madre congolese.
  12. Bacary Sagna (Sens, 1983): genitori senegalesi.
  13. Stéphane Ruffier (Bayonne, 1986): padre basco.
  14. Moussa Sissoko (Le Blanc-Mesnil, 1989): genitori del Mali.
  15. Paul Pogba (Lagny-sur-Marne, 1993): padre della Guinea e madre congolese.
  16. Loïc Rémy (Lione, 1987): genitori della Martinica.
  17. Laurent Koscielny (Tulle, 1985): origini polacche da parte di padre, pur avendo la doppia cittadinanza ha scelto di giocare per la nazionale francese.

GERMANIA

  1. Sami Khedira (Stoccarda, 1987): madre tedesca e padre tunisino.
  2. Mesut Özil (Gelsenkirchen, 1988): origine turca.
  3. Lukas Podolski (Gliwice, 1985): nato in Polonia, quando aveva due anni la famiglia si trasferì in Germania Ovest avendo “diritto di ritorno” in quanto cittadini tedeschi prima della Seconda guerra mondiale.
  4. Miroslav Klose (Opole, 1978): nato in Polonia ma cittadino tedesco come Aussiedler per “diritto di ritorno”.
  5. Jérôme Boateng (Berlino, 1988): padre ghanese e madre tedesca.
  6. Shkodran Mustafi (Bad Hersfeld, 1992): genitori albanesi originari della Macedonia.

INGHILTERRA

  1. Philip Jagielka (Sale, 1982): padre polacco.
  2. Daniel Sturridge (Birmingham, 1989): nato in Inghilterra da genitori giamaicani.
  3. Daniel Welbeck (Manchester, 1990): nato in Inghilterra da genitori del Ghana. È stato criticato dalla stampa ghanese per aver rifiutato le offerte della nazionale africana e durante la partita amichevole Inghilterra-Ghana del marzo 2011 è stato contestato dai tifosi.
  4. Christopher Smalling (Greenwich, 1989): origini giamaicane.
  5. Alexander Oxlade-Chamberlain (Portsmouth, 1993): nato in Inghilterra da genitori giamaicani.
  6. Raheem Sterling (Kingston, 1994): emigrato dalla Giamaica all’età di cinque anni, ha potuto giocare nella nazionale inglese grazie a una revisione dei criteri FIFA per la naturalizzazione.
  7. Adam Lallana (St Albans, 1988): padre di origine spagnola.

OLANDA

  1. Bruno Martins Indi (Barreiro, Portogallo, 1992): nato in Portogallo da genitori della Guinea-Bissau, la famiglia si è trasferita nei Paesi Bassi quando aveva tre mesi.
  2. Nigel de Jong (Amsterdam, 1984): padre del Suriname, madre indonesiana.
  3. Jonathan de Guzmán (Toronto, 1987): nato in Canada da padre filippino e madre giamaicana, ha ottenuto la cittadinanza olandese nel 2008.
  4. Terence Kongolo (Rotterdam, 1994): nato in Olanda da genitori congolesi.
  5. Jeremain Lens (Amsterdam, 1987): genitori del Suriname, prima di essere convocato dall’Olanda ha giocato tre partite con la nazionale surinamese.
  6. Leroy Fer (Zoetermeer, 5 gennaio 1990): genitori delle Antille Olandesi.
  7. Georginio Wijnaldum (Rotterdam, 1990): genitori di origine afro-surinamese.
  8. Memphis Depay (Moordrecht, 1994): padre ghanese e madre olandese.
  9. Michel Vorm (IJsselstein, 1983): padre surinamese e madre olandese.

SVIZZERA

  1. Diego Benaglio (Zurigo, 1983): genitori italiani.
  2. Philippe Senderos (Ginevra, 1985): madre serba e padre spagnolo.
  3. Tranquillo Barnetta (San Gallo, 1985): origini italiane.
  4. Gökhan Inler (Olten, 1984): genitori turchi. Ha giocato per la nazionale under 21 turca per poi scegliere quella svizzera nel 2006.
  5. Haris Seferović (Sursee, 1992): genitori bosniaci emigrati in Svizzera alla fine degli anni ’80.
  6. Granit Xhaka (Basilea, 1992): origini kosovare (albanesi).
  7. Valon Behrami (Titova Mitrovica, 1985): nato in Jugoslavia (oggi Kosovo) da genitori albanesi.
  8. Ricardo Rodríguez (Zurigo, 1992): padre spagnolo e madre cilena.
  9. Blerim Džemaili (Tetovo, 1986): nato in Macedonia da genitori albanesi, è giunto in Svizzera con la famiglia all’età di 4 anni.
  10. Gelson Fernandes (Praia, 1986): nato a Capo Verde, trasferito in Svizzera con la famiglia all’età di cinque anni.
  11. Mario Gavranović (Lugano, 1989): genitori croato-bosniaci.
  12. Admir Mehmedi (Gostivar, 1991): nato in Macedonia da genitori albanesi, trasferitosi in Svizzera all’età di 2 anni.
  13. Josip Drmić (Lachen, 1992): genitori croati.
  14. Johan Djourou (Abidjan, 1987): nato in Costa d’Avorio da genitori ivoriani, è stato poi adottato dalla prima moglie svizzera del padre.
  15. Xherdan Shaqiri (Gnjilane, 1991): nato in Jugoslavia (oggi Kosovo) da genitori albanesi.

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