La Spagna è il cocco della maestra in Europa?

Amo la Spagna, adoro la loro lingua, ho persino origini spagnole, dunque questo non è un discorso “contro la Spagna” o contro il suo popolo. Del resto, se volessi impelagarmi in qualcosa del genere, partirei dall’esilarante giudizio trovato in un vecchio manuale scolastico (Armando Saitta, Guida critica alla storia moderna, 1953)

«La Spagna [del XVI secolo] ormai ha assunto il volto che le resterà fino all’epoca contemporanea: paese di orgogliosi quanto poveri hidalgos, di classi sociali parassite, di fanatici monaci e inquisitori, di corrotti funzionari prevaricatori. La Controriforma, nettamente vittoriosa sul piano religioso, è fallita totalmente su quello politico».

La mia polemica invece ha a che fare solo col trattamento “di favore” che essa ha ottenuto rispetto non solo all’Italia, ma a tutti gli altri PIIGS. Purtroppo quando si parla di economia divento un vero asino (e me ne vergogno), tuttavia a un certo punto sarò purtroppo costretto ad entrare nelle segrete cose, negli arcana imperii. Per il momento però vorrei mantenermi a un livello essoterico, da middlebrow, partendo dalla prima questione che mi ha messo la pulce nell’orecchio: il calcio (altro che economia). Mi riferisco naturalmente ai favoritismi arbitrarli di cui le squadre spagnole hanno goduto negli ultimi lustri, sospetto che si estende anche al famoso gol di Iniesta in fuorigioco che nel 2010 regalò alla nazionale iberica la Coppa del Mondo (a un italiano probabilmente non lo avrebbero convalidato).

Siamo già arrivati alle teorie del complotto? Sì e no, se pensiamo solo che il calcio spagnolo è un’industria sostenuta direttamente dai fondi europei, come saltò fuori da uno “scandaletto” di qualche anno fa che rivelò la sinergia tra grandi squadre e banche in fallimento (cfr. L. Ciccarelli, Gareth Bale pagato con i soldi dell’Unione Europea?, “Il Fatto Quotidiano”, 22 febbraio 2016)

«L’acquisto [del calciatore gallese] Gareth Bale sarebbe stato […] garantito dall’istituto di credito Bankia, istituto di credito salvato pochi mesi prima del calciomercato 2013 tramite ingenti aiuti provenienti direttamente dal fondo di emergenza dell’UE, fondo attivo grazie alle tasse che i contribuenti del Vecchio Continente versano ogni anno.
[…] L’Unione Europea già aprì un’indagine sul calcio spagnolo in cui fu colpita proprio Bankia, nata nel 2010 dalla fusione di sette istituti di credito. Bankia, quotata in borsa, dopo 2 anni aveva un buco dichiarato di 19 miliardi ed è stata dunque parzialmente statalizzata dal Governo Spagnolo ma contemporaneamente, nel mercato di gennaio del 2012, il presidente del Barcellona Rosell si rivolse a loro per ottenere il finanziamento per la campagna acquisti. Non finisce qui: andando a scavare ancora più indietro si scopre come nel 2009 il Real Madrid, ancora lui, si rivolse a Caja Madrid, uno dei sette istituti che l’anno dopo avrebbe partecipato alla costruzione di Bankia, per ottenere un prestito ad un tasso di interesse irrisorio e fu proprio grazie a questo prestito che comprò Cristiano Ronaldo, Kakà, Arbeloa, Albiol, Granero, Xabi Alonso, Ezequiel Garay, Joselu, Negredo e Benzema nel giugno di quell’anno. Siamo all’alba dei nuovi Galacticos che trionferanno con Carletto Ancelotti in Champions League.
[….] Nel 2012 la Bild, uno dei più importanti giornali della Germania, scrisse un pezzo molto forte quando il governo spagnolo decise di condonare i 752 milioni di euro che i club della Federazione avevano nei confronti delle banche europee (in particolar modo spagnole). La Bild accusò quindi la Spagna di usare i soldi dei tedeschi per pagare gli stipendi di Messi e Ronaldo».

Le illazioni sui favoritismi “arbitrali”, al di là di ogni paranoia, andrebbero perciò estese al trattamento privilegiato che l’Europa ha garantito alla Spagna dal punto di vista finanziario. Osserviamo, per esempio, che dal 1995 Madrid non ha praticamente mai rispettato il famigerato limite del 3% di deficit, segnando anzi alcuni record negativi: 11% nel 2009 (Italia 5,2%), 9,4% nel 2010 (Italia 4,2%), 9,6% nel 2011 (Italia 3,7%), 10,5% nel 2012 (Italia 2,9%), 7% nel 2013 (Italia 2,9%), 6% nel 2014 (Italia 3%)… dobbiamo andare avanti?

È noto che l’argomento principe col quale si tenta di nascondere un’evidente “corsia di preferenza” (che include la pantomima dell’altrettanto famigerata “procedura d’infrazione”) è quello del debito pubblico. Ora, si dà il caso che questa sia una delle più grandi leggende nere messe in circolazione contro il nostro Paese, quando invece in tutta Europa si sa che che il debito pubblico italiano è l’unico realmente sostenibile sul lungo termine tra quelli dell’eurozona, come ha dimostrato persino il think tank tedesco ultraliberista Stiftung Marktwirtschaft (la fonte più insospettabile di tutte):

«Considerando sia il debito pubblico “esplicito” (quello noto, di cui normalmente si parla) sia quello “implicito” (dato dagli impegni pensionistici e dai costi futuri per la sanità e l’invecchiamento della popolazione), il debito pubblico totale italiano è l’unico nella Ue ad essere sotto il fatidico tetto del 60% del Pil, precisamente al 57%, mentre quello tedesco è addirittura quasi tre volte più elevato (dati 2014). […] L’Italia ha un risparmio implicito attualizzato molto elevato che riduce il debito esplicito, con la conseguenza che il debito totale del nostro Paese è addirittura l’unico della Ue sotto il 60% del Pil, mentre la Germania è al 149%, la media della Ue al 266%, la Francia al 291%, la Gran Bretagna al 498% e la Spagna al 592%!» (M. Fortis Debito pubblico, così la pagella tedesca promuove l’Italia, “Il Sole 24 Ore”, 26 Febbraio 2016).

Ma chiudiamola con l’economia e torniamo all’unico campo che conta veramente qualcosa, il politico. Lasciamo anche da parte il calcio, nonostante sia forse una delle cose più importanti, da tale prospettiva, di cui parlare. Prendiamo letteralmente il toro per le corna (come a Pamplona) rispolverando quella Questione Catalana annientata per via giudiziaria e mediatica nel giro di una stagione.

Abbiamo discusso abbastanza della Catalogna su questo blog, tuttavia essa rimane una ferita aperta non solo per Madrid e Barcellona, ma anche per Bruxelles, cioè Berlino: sarà un caso che la sortita di Puigdemont e compagni coincise con la liquidazione elettorale della Merkel, come a cogliere il segnale di un cambio di equilibri all’interno dell’Unione? È impossibile che qualche esponente della dirigenza catalana non abbia “mangiato la foglia”, cioè intuito la fine di un ciclo politico in cui la Spagna era diventata il “cocco della maestra” (la governante tedesca) da additare ai Sorgenkinder dell’Europa meridionale.

Questa mi pare la vera “pistola fumante” del trattamento di favore nei confronti della Spagna: si provi a immaginare cosa sarebbe accaduto se le istituzioni italiane si fossero comportate nello stesso identico modo nei confronti degli alto-atesini (per giunta germanofoni, Dio ce ne scampi). Un po’ come se quel gol lo avesse segnato Quagliarella invece che Iniesta…

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